Se è scritto sui giornali allora deve essere vero.
Non si sa bene quando la gente ha cominciato a pensarla così, certo che i media hanno cominciato ad avere potere quando ci si è accorti che erano un gigantesco occhio sul mondo. Quando quell’occhio ha cominciato a raccontare cose che non aveva mai visto, nessuno se ne è accorto. Hanno continuato a pensare che i mass-media potessero essere incontestabilmente la bocca della verità. Non importa se sappiamo che non è vero, alla fine finiamo per crederci. Per abitudine.
Noi ci mettiamo anche lo zampino. Abbiamo quella strana passione per la condanna. Siamo arbitri, giudici, pubblici ministeri. Puntare il dito è il gioco preferito. Salvo poi ritirarlo quando l’assoluzione è plateale.
Vox populi, vox Dei.
Sarà poi vero?
Quella dell’inchiesta di Mantova è stata un’assoluzione schietta e improvvisa, come lo era stata la richiesta di condanna. Eppure nessun titolone è riuscito a strappare questa notizia dal lieve torpore del periodo natalizio, mentre tutti pensano prima ai regali e poi al cenone. 

Mi ricordo che spesso, al liceo, un professore ci diceva che non esistono notizie di serie A e di serie B. Per l’Ansa ci sono solo notizie. Sono i giornali a prenderle, pescarle nel mucchio a seconda del trend del momento, e riportarle sulla carta stampata e in tv. Amplificarle, manovrarle e poi darle in pasto a noi. Che generalmente mangiamo tutto quello che c’è sul piatto come se fossimo digiuni da mesi.
Nel ciclismo è fin troppo facile: la parola doping fa gola come un tacchino ripieno nel giorno del Ringraziamento. E allora bisogna scriverla in grassetto. Quello della Lampre 2009 stava per passare alla storia come uno dei più grandi casi di doping di squadra del ciclismo italiano. Dico stava perché lo scorso diciotto dicembre tutti i corridori professionisti implicati sono stati assolti. Tutti. Damiano Cunego, Marco Bandiera, Alessandro Ballan. Già, Ballan. L’ultimo italiano ad aver vinto un Fiandre. L’ultimo italiano ad aver vinto un Mondiale. Crocifisso per quella maledetta ozonoterapia. Lui che con quello scatto aveva fatto piangere tutti. Varese 2008. E chi se lo scorda? Una valanga di fango non può coprire un diamante, continuerà a brillare anche sotto terra. L’amore che gli italiani hanno dato al loro Ale ha brillato anche in questi anni. In mezzo all’inferno. Questo è stato. Inferno per tutti. Perché i sospetti ammazzano e la giustizia italiana ancora di più e la lentezza ingrandisce gli incubi. In alcuni casi la lentezza rovina la vita, oltre che il sonno. Marco Bandiera e Damiano Cunego possono continuare a correre, ancor più leggeri. Per Ballan la cosa non è così semplice. Gli sponsor gli hanno chiuso le porte in questi anni, gli infortuni hanno rincarato la dose. Per lui è stato il primo Natale veramente sereno dopo troppo tempo. Anche se le ribellioni urlano troppo forte. Ribellarsi a chi? A cosa? Motivi ce ne sarebbero fin troppi. Il processo di Mantova è finito in una bolla di sapone ed era nato come un macigno che pendeva sulla testa dei corridori, accusati di cose che i tifosi non perdonano molto facilmente. Questo basterebbe per etichettarlo come un’ingiustizia. Si potrebbe anche dire che durante il percorso giudiziario non sono mai emerse prove chiare che inchiodassero gli indagati. Ma forse servirebbe a poco. Il quadro dell’accusa è crollato e quello che resta sono autentiche macerie.
Polvere che ruota attorno al medico Negrelli. Uno dei pochi che non se l’è cavata e forse il Karma stavolta ci ha visto giusto. Troppe volte la gente che intorbidisce le acque di questo sport resta immune per anni. Da tutto. Dalle critiche, dalle accuse, dagli insulti, dalle condanne. Resta come certi cittadini modello che sono elogiati e venerati ma in realtà, di notte, buttano rifiuti tossici nei fiumi. Non si sa mai chi siano. Il buio, a volte anche quello dell’omertà, li nasconde come braccia di madre.

Questa volta qualcosa si è ribaltato. Anche se alla soddisfazione per una sentenza che, per una volta, appare insolitamente giusta, si mischia quell’amarezza latente che forse assomiglia un po’ alla rabbia. Rabbia per questi anni, per questo fumo inutile. Attorno al ciclismo, attorno ai corridori. Insomma, ora che tutto è andato in niente, si sorride pensando che tutto andrà bene. Ma non è così. Il tempo è una cosa che non si può restituire. Il tempo è un filo che va in parallelo con la vita. E chi fa il professionista lo sa. Che questo è uno sport duro e breve, che ogni anno che passa è prezioso, che bisogna prendere tutto al volo dopo una vita votata al sacrificio. Bisogna avere pazienza, bisogna avere prontezza. Già è difficile così. Figuriamoci con le squalifiche. Figuriamoci con squalifiche che durano anni e che poi finiscono con un mi dispiace c’eravamo tanto sbagliati.
Chi restituirà le ore di sonno perse, gli allenamenti a vuoto, lo sforzo di difendersi dagli insulti, le occasioni volate via?

Mantova andata e ritorno. Un viaggio lungo sette anni. Uno di quei viaggi inutili che nemmeno ti godi il paesaggio perché qualcuno ti ricorda sempre dove stai andando e cosa stai rischiando.
E ora che tutto è finito, chi pagherà il biglietto?

Posted by:Miriam

Sono nata in Brianza in una calda notte di luglio. Scrivo da quando avevo quattordici anni e nel 2012 ho cominciato questo viaggio che si chiama "E mi alzo sui pedali". Ho pubblicato "Voci di Cicala" nel 2013, "La menta e il fiume" nel 2015 e "Come un rock" nel 2019. Mi piacciono i papaveri, il profumo delle foglie di menta e la ninnananna della risacca del lago. A volte scrivo con gli occhi chiusi.

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