I limoni gialli e floridi fanno da cornice alla pennellata di mare laggiù in fondo. In mezzo, qualsiasi cosa: fiori bianchi rampicanti, le grandi cisterne di cemento colme di acqua torbida che non riflettono niente, carcasse di macchine, serre con i vetri rotti, paesi abbandonati. Il viadotto è praticamente dipinto sulle colline in un quadro di Turner dove le campate sono quelle di un ponte antico che sormonta chissà quale servaggio fiume impetuoso. 
Penso di nuovo a quel frammento – un’altra mattina, un’altra primavera. Il cervello sa che ci sono istanti che forse non ti capiterà di vivere più e allora li trasferisce su una di quelle diapositive che andavano di moda negli anni Duemila e tu li alzi continuamente verso il sole, per vederli di nuovo attraverso l’unica cosa che ancora li tiene in vita: la luce. 

Sul Poggio, la gente cerca il punto x, l’esatto centimetro di asfalto dove la Milano-Sanremo prenderà la piega vincente. Sono tutti qui perchè oramai sanno che, da troppe edizioni, la corsa si decide in questi metri. Lo scatto è qui, esattamente dove e quando nessuno guardava. Ma è facile credere che oggi il ciclismo, come suo solito, abbia in mente di fottere tutti. Il destino mescola le carte anche se ne tiene sempre alcune fisse, stelle polari sopra il mazzo, estratte un giorno per caso e che resteranno sul tavolo per l’eternità.
Nessuno può toccarle, nessuno può giocarci, nessuno può capovolgerle. 

E adesso risale l’elicottero dalla collina, di nuovo una mano rinsalda l’incanto, mezza frazione di secondo in cui si riesce a sentire il fruscio del respiro. Saldi ancora nella sicurezza che non esista niente altro su questo assurdo posto senza speranza che un amore già scritto. 

Mentre sfrecciano giù per la discesa – che ti chiedi come facciano ad andare quasi ad occhi chiusi, una curva a gomito dietro l’altra – io resto letteralmente bloccata a vedere gli ultimi chilometri sullo schermo del telefono. Torna la volata in via Roma, senza che uno scatto decisivo abbia fatto il vuoto.
Torna come non te l’aspetti. 

Quando riesco a scendere a Sanremo, hanno praticamente finito di smontare l’arrivo e tre quarti dei bus se ne sono già andati. Il sole che sta per scivolare dietro le colline dell’entroterra mette bagliori dorati sull’asfalto e ho ancora bisogno di prendere quella diapositiva e guardarla di nuovo. La luce del tardo pomeriggio di Sanremo la attraversa come un miracolo, come una consolazione, a dirci che niente è perduto per sempre.
Quell’istante tornerà per noi. 

Nata alla fine dell'Ottocento con gli stetoscopi, la diapositiva è un'immagine sovrascritta su un supporto trasparente. Il suo nome deriva da dia - cioè "attraverso"- e positiva: infatti per poterla osservare occorre che la luce la attraversi.
Posted by:Miriam

Sono nata in Brianza in una calda notte di luglio. Scrivo da quando avevo quattordici anni e nel 2012 ho cominciato questo viaggio che si chiama "E mi alzo sui pedali". Ho pubblicato "Voci di Cicala" nel 2013, "La menta e il fiume" nel 2015 e "Come un rock" nel 2019. Mi piacciono i papaveri, il profumo delle foglie di menta e la ninnananna della risacca del lago. A volte scrivo con gli occhi chiusi.

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