ON THE ROAD – JACK KEROUAC
On the road è un libro rivoluzionario. Leggendolo si sente tutta la forza della ricerca di Kerouac per arrivare ad una prosa vera, senza fronzoli, eppure intensa: a volte come una coltellata, altre volte come una carezza. La storia dei viaggi americani di Dean e Sal (trasfigurazioni letterarie dello stesso autore e di Neal Cassady) è una storia di vita. Sulle larghe e interminabili strade che portano dall’Ovest al leggendario Est, portano la loro ansia di emozioni, l’infinita ricerca della cosa (come la chiama Dean), di sé stessi, delle esperienze più intense e gratificanti per il corpo e l’anima. Tutto ciò non si riduce solamente alle nottate di bagordi e all’uso di droghe ma è qualche cosa di più intimo che bisogna leggere tra le righe del romanzo: ne uscirà la follia di ragazzi che vogliono bersi la loro esistenza senza perdersi nemmeno un sapore e che sono in fuga disperata dalla noia e dall’immobilità della quotidianità prefissata, all’inseguimento pazzo di un’eccitazione continua. Un’eccitazione che, molte volte, durante il viaggio, si rivela nelle cose semplici che vedono scorrere dal finestrino dell’automobile: una notte di stelle, un’alba limpida, gli occhi scuri di una bambina nel cuore del Messico, le note forsennate del bop, in una sera estiva. I deserti polverosi e le grandi città frenetiche, gli immensi silenzi e il caos allucinante fanno da sfondo a quello che è uno dei contrasti più vitali del romanzo: la voglia di andare e quella di sistemarsi, il bisogno di scoprire, di andare oltre, e il desiderio di un posto sicuro, dove costruire una famiglia e trascorrere in pace l’esistenza. Un romanzo davvero fuori dagli schemi, avventuroso, forte, malinconico e, per certi versi, anche dolce.
ANTONIO PENNACCHI – IL FASCIOCOMUNISTA
La storia di Accio Benassi, il protagonista, è la storia di una generazione, di ideali veri, profondi che fanno fatica ad incasellarsi nei movimenti e i partiti che sono sorti negli anni dopo l’ultima guerra. Accio è istintivo, attaccabrighe, un po’ scapestrato e ha voglia di rivoluzione, come tanti ragazzi della sua età. Una rivoluzione vera, il desiderio grande di cambiare veramente le cose. E’ un protagonista a cui voler bene, che macina chilometri e chilometri, da Latina a Milano, in autostop, per vedere una ragazza, anche solo per poche ore. Un quadro sorprendentemente reale della generazione dopo la guerra, dei ragazzi venuti su con le lotte fascio e martello, Duce e Mao. Tuttavia il Fasciocomunista è un libro per tutti. Perché ognuno di noi, in momenti magari diversi della vita, è stato un po’ Accio: arrabbiato con il mondo eppure alla ricerca costante e forsennata di una ribellione concreta per cambiarlo.
LUIGI GARLANDO – PER QUESTO MI CHIAMO GIOVANNI
La vera innovazione di questo breve romanzo è il fatto che la storia di Giovanni Falcone viene presentata ad un bambino di dieci anni e, quindi, linguaggio, esempi, narrazione sono semplici ma comprensibilissimi. Le metafore che usa il padre per spiegare la mafia, l’omertà, gli uomini d’onore sono tutti riconducibili alla realtà di vita del destinatario del racconto. Sorprendente è, poi, che Garlando voglia darci un altro messaggio, è come se ci dicesse: “Guardate che i bambini, molte volte, capiscono e riflettono meglio di noi adulti”. In particolare questo si vede nella scena in cui Giovanni e il padre sono sul luogo dell’attentato: toccante è il punto in cui pensa: “Anche i due cartelli verdi e le loro frecce spiegavano che il mio è il mondo dell’incontrario: gli uomini – bestie proseguono dritti fino a Palermo, a fare festa, gli uomini capaci si fermano qui per sempre.”
Questo è un po’, diciamo, il filo del discorso di tutto il racconto: l’importanza delle nuove generazioni, della speranza, del futuro, del far sapere a quelli che nascono tutta questa storia. La storia di chi, morendo, ha vinto: ha vinto contro l’omertà, il silenzio delle istituzioni, che ha svegliato Palermo, la Sicilia ma anche l’Italia intera. “Per questo mi chiamo Giovanni” è un libro che dovrebbero leggere tutti ma, in special modo, i ragazzi. Perché la nostra generazione, imbottita di reality e realtà virtuale, non dimentichi che ci sono stati anni in cui uomini come noi, che per giunta si battevano per la giustizia, non potevano fare un passo senza essere accompagnati per timore che l’asfalto o il pavimento gli saltasse sotto i piedi.
ANTONIO PENNACCHI – CANALE MUSSOLINI
Questo romanzo è un vero e proprio capolavoro. Lo stratagemma che Pennacchi usa per la narrazione è fenomenale. La Storia del nostro Paese che poi è quella dei Peruzzi, i protagonisti, diventa una leggenda e grazie alle inflessioni dialettali nei discorsi, ai dialoghi in veneto – pontino la trama è ancora più coinvolgente. L’impressione che si ricava è quello di un grande poema agreste, basato su personaggi caratteristici che ammaliano, che si fanno amare. Ed è interessante anche quella sorta di magia – superstizione ancestrale che pervade la storia. Questa scia di credenze, secondo me, avvolge ancor più il lettore alla vicenda. In sostanza, credo che sia un modo meraviglioso per raccontare la storia d’Italia agli italiani: ci fa sentire partecipi. Un romanzo ricco, insomma, in tutti i sensi: storia, cultura, tradizione e un pizzico di pepe.
NAZIM HIKMET – GRAN BELLA COSA E’ VIVERE, MIEI CARI
Un’autobiografia degna di Hikmet, dell’animo di questo poeta che è stato definito “rivoluzionario romantico”. Il protagonista, Ahmet, morso da un cane rabbioso, trascorre un periodo di isolamento in una capanna dell’Anatolia. E’ qui che, il lettore viene letteralmente invaso dalle proiezioni, da un gioco sublime di flashback e di ricordi che, alla fine, sono tratti dalla reale e avventurosa vita dell’autore. Quell’ “Io” che, spesso, si sostituisce al racconto in terza persona rende la narrazione particolare, toglie l’etichetta dell’autobiografia a questo romanzo che è, alla fine, un impasto denso di dialoghi urgenti, intrecciato di voci, di suoni, di sensazioni. Un occhio originale su una vita decisamente fuori dagli schemi, vissuta con la convinzione nei propri ideali e il vero coraggio di battersi per essi. E’ un libro un po’ difficile, all’inizio, ma molto intenso.
GABRIELE D’ANNUNZIO – IL PIACERE
Un classico. Forse c’è sempre un po’ di diffidenza, tra i lettori moderni, nei confronti dei grandi autori del passato. Questo romanzo non è affatto superato anche se è stato scritto da d’Annunzio nel 1889. La storia di Andrea Sperelli che ama due donne, con una sensualità differente, che vive una vita estetizzante, sempre alla ricerca del “bello”, si può trasportare comodamente ai giorni nostri. La vicenda che si svolge in una Roma d’Incanto, tra i palazzi dell’aristocrazia, Piazza di Spagna e tutti i veri e propri salotti “a cielo aperto” della Capitale di fine secolo, è tradotta sulla carta in modo totalmente d’annunziano: la ricercatezza e la voluttà delle sue poesie diventano prosa in maniera egregia. Un romanzo colto che porta con sé tutto il fascino del Decadentismo italiano.
LIALA – DIARIO VAGABONDO
Un diario particolare, non convenzionale, fatto di ricordi, di episodi, che spaziano lungo l’arco della vita di Liala: bambina, donna, scrittrice. Tra queste pagine autobiografiche si trovano episodi leggeri, che parlano di gatti, di acque di lago, di piccole cose di tutti i giorni. Ma ci sono anche pagine malinconiche, riflessive, che mostrano un mondo che, in fin dei conti, non è cambiato. Un romanzo per chi, come me, ama Liala e i suoi romanzi e anche per chi non la conosce o l’ha, ingiustamente, criticata. Perché, in questo diario, si capisce pienamente come possa essere un’autrice simbolo della nostra Italia novecentesca.