Probabilmente da trecento anni questo grande lampadario di murano illumina la stanza. Fuori c’è il chiasso del 2025, dentro la quiete solennità del Barocco Italiano. Gli arazzi immensi, dal pavimento al soffitto, gli ori, gli specchi e gli orologi – orologi ovunque – come a testimoniare il cruccio perenne dell’uomo per le lancette che scorrono inesorabili senza che possiamo porvi rimedio. Ma queste sono ferme alle ore che nessuno sa. L’arrivo dei francesi? La distruzione di Napoleone? L’alba di una mattina di caccia? I sospiri degli amanti che qui si sono rifugiati per le loro ore di paradiso?
Ancora ci chiediamo se sia possibile ricordare chi siamo stati nelle nostre altre vite. 

Ma re e regine non avrebbero mai pensato che un uomo potesse avere una visione più alta della loro, sorvolando i tetti argentei con una macchina volante. Adesso che le candele sono nei nostri cassetti solo per le emergenze e non scriviamo più con chi vorremmo ballare su un piccolo carnet da polso, ci chiediamo dove possiamo ancora parlare d’amore. Il ciclismo ha reso le cose più facili, come se questo fosse un grande sogno nel quale torniamo in modo ricorrente, che abbiamo già vissuto in altre esistenze e con il quale abbiamo questioni in sospeso.


Tra cento persone che guardano la corsa attraverso il telefono, ci sono strani viaggiatori del tempo che osservano i corridori sfilare uno a uno attraverso le fontane, come dei miracolati pensano solo al presente, restano immobili, capaci di non fare altro. 
Mi siederei accanto a loro, se solo mi ricordassi come si fa. 
A non pensare a niente, a lasciare che la testa sia vuota per le cose importanti. Probabilmente quando imposti la volata pensi ad un tot di cose o forse niente. L’arrivo è il meno veloce della storia e manca la teatralità, il luccichio settecentesco che ti riempie gli occhi, grandi specchi in cui riguardare lo sforzo cocente, dipingere il movimento. Il trionfo ha la sua arte e – detto fuori dai denti – senza la bellezza, questo sport è solo bieca performance.

Mentre guardo lo specchietto retrovisore mi sento per un secondo – solo per un secondo – proiettata nelle immense strade del sud della Spagna, quando guidi in solitaria nell’ora del tramonto. Improvvisi bagliori argentei di quello che abbiamo vissuto ci aggrediscono – o ci abbracciano – alle spalle quando meno ce lo aspettiamo. 
Siamo forse tornati qui a cercare chi abbiamo perso nei secoli?

La parte sinistra del complesso architettonico della Reggia di Venaria presenta due torrioni con tetti detti alla “Mansart” ricoperti di particolari mattonelle pentagonali multicolori in ceramica. Se guardate da diverse angolazioni, le tegole riflettono la luce del sole dando un’effetto argenteo alla copertura. 

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Posted by:Miriam

Sono nata in Brianza in una calda notte di luglio. Scrivo da quando avevo quattordici anni e nel 2012 ho cominciato questo viaggio che si chiama "E mi alzo sui pedali". Ho pubblicato "Voci di Cicala" nel 2013, "La menta e il fiume" nel 2015 e "Come un rock" nel 2019. Mi piacciono i papaveri, il profumo delle foglie di menta e la ninnananna della risacca del lago. A volte scrivo con gli occhi chiusi.

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