La città è sommersa dal traffico. La città è vuota. 
La luce del sole ogni tanto filtra tra le vie, illumina i piani alti dei palazzi antichi. Le macchine continuano a correre, a fermarsi agli stop, suonare a chi non parte con il verde, ma io cammino in uno scenario post apocalittico. 
Ai bus c’è la gente, ai bus non c’è nessuno. 
Tutti aspettano solo lui. Il re è nudo, il re è solo. 
Ogni volta che guardo il successo negli occhi, mi chiedo quale sia il prezzo. Bestie da macello o cavalli che sbancano i botteghini. 
C’è differenza?
Ancora la folla, ancora i soldi, ancora più potenza, ancora più gap tra l’uomo delle stelle e i mortali quaggiù che lo guardano in estasi. 
Ma dicono che queste sono le boccate d’aria che servono al ciclismo per uscire da quella ossessiva nicchia dove – in fondo – si sta piuttosto bene. Là fuori vogliono idoli, non outsider che poi svaniscono nel nulla.
Mentre torno alla macchina, scorro instagram e vedo la foto di Frank Vandenbroucke con la testa tra le mani. Se ne andava quindici anni fa, dall’altra parte dell’oceano. Un Bimbo d’Oro perduto, schiacciato dall’altra faccia della medaglia che – bene o male – devi sopportare. 

Il lago laggiù in fondo è dello stesso colore del cielo. La salita che porta a San Fermo della Battaglia è costellata da antiche ville ombrose, chiuse nel loro silenzio e sommerse dalla vegetazione che sembra quella di un sottobosco. Qui sotto scorre un torrente. Il suono cupo dell’acqua e le ombre di una giornata senza sole fanno pensare a certe atmosfere di Piccolo Mondo Antico dove una sorda malinconia giace su tutte le cose, appassendo i fasti nobiliari come una rosa conservata a testa in giù. 


I doppi tornanti sono invasi dalla gente, eppure questo strano senso di estraniazione accompagna la scoccata finale di un dominatore assoluto. La chiamano brutalmente La Classica delle Foglie Morte ed è come se le avessero messo un sigillo di malinconia. Il primo dei mortali ha lo sguardo di chi ci ha davvero provato fino in fondo, raschiando tutto fino a sentire la carne. Fissa gli occhi su quel distacco che sembra ancora più immenso, andare oltre non è più contemplato. 

Gli altri arrivano alla spicciolata, la folla si accalca ai pullman. Due ore dopo la corsa stanno ancora lì, mentre l’umido dell’acqua dolce alita sulle loro fragili felpe, con la schiena divisa in più punti per l’attesa. 
Lui arriva come un fulmine e sparisce, la gente rimane a guardare il fianco del pullman invano. Di nuovo. 
Scende solamente la sera, nessuna pietà.

La stagione è finita ma non sento né la tristezza, né altri tipi di sentimento provati prima. In un angolo della città vecchia c’è un piccolo locale che assomiglia ad un covo di scrittori, con molti specchi e poca luce. Ad una parete, mille ritratti di Hemingway. Lui con un gatto bianco e nero. 
Anche se avessimo finito il sangue da versare, non potremmo smettere di scrivere le nostre lettere da bruciare sul fuoco del silenzio. 
Qualcuno accanto a noi, dall’altra parte dell’oscurità, le leggerà per ritrovare la strada. 

Seppur in molti ci abbiano visto riferimenti alla guerra in Vietnam o all’assassinio di Kennedy, il testo della celebre canzone “The Sound of Silence” di Simon & Garfunkel è la storia dell’amicizia tra Art Garfunkel e Sanford Greenberg, un compagno della Columbia University. Dopo un glaucoma che gli porta via la vista, Sanford è costretto a rinunciare al suo sogno di diventare avvocato. È Art che lo aiuta a leggere, a scrivere e compilare i moduli. Per non farlo sentire solo decide di usare un soprannome per sé, «darkness» cioè «oscurità». Sanford riesce a laurearsi a pieni voti e a diventare un imprenditore di successo, creando anche un fondo di tre milioni di dollari per cercare una cura per la cecità. Quando Art Garfunkel racconta la storia a Paul Simon, insieme decidono di scrivere la prima strofa di The Sound of Silence: «Darkness è Art» ha detto Sandy Greenberg, «L’amico che leggeva i libri per me».

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Posted by:Miriam

Sono nata in Brianza in una calda notte di luglio. Scrivo da quando avevo quattordici anni e nel 2012 ho cominciato questo viaggio che si chiama "E mi alzo sui pedali". Ho pubblicato "Voci di Cicala" nel 2013, "La menta e il fiume" nel 2015 e "Come un rock" nel 2019. Mi piacciono i papaveri, il profumo delle foglie di menta e la ninnananna della risacca del lago. A volte scrivo con gli occhi chiusi.

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