Mentre mi guardo allo specchio, penso che alla fine non mi è mai fregato niente del prestigio, dei soldi o di altre cose per cui la gente si venderebbe senza remore. Anche in momenti come questo, continuo a pensare che molte cose nella vita vanno e vengono. Ma esistono dei momenti – quei dannati momenti – che non ritornano più. Puoi fare il giro del globo ottomila volte, cambiare continenti, spazio, case, persone, ma ancora continui a pensare che avresti voluto tenerti certi istanti ancora per un pochino, forse ancora per sempre. 
Fuori piove, le nuvole sono basse.
Con i milioni puoi fare tutto, meno che comprarti quello che vorresti rivivere. 

Nel bar abbiamo fatto una specie di piccolo quartier tappa non ufficiale – italiani, inglesi, neozelandesi – ci guardiamo negli occhi non sapendo cosa fare. Tutti parlano con tutti, si parte, non si parte, si accorcia, si annulla. Le giornate come queste sono impossibili da descrivere a chi sta fuori. È come vivere in una specie di bolla in balia delle decisioni last-minute. 
Qualcuno ha le gomme da neve? No.

A duemila metri se ne sbattono del Giro d’Italia, Madre Natura regna sovrana sulle sue cime, impietosa come spesso è a maggio. Soffia sopra i pini il nevischio come a Natale, quando si resta incollati alla finestra ad aspettare che il paesaggio diventi bianco. Ma dicembre è lontano, sull’Umbrailpass i fiocchi scendono copiosi sulla strada nera, il cellulare in aereo, la vita in blocco, le montagne chiazzate di bianco e i pini a vegliare la scena. Umani zero: i rifugi sembrano abbandonati da anni, stanze gelide senza respiri. Fuori è il regno di chissà quali animali e le macchine passano veloci nel territorio ostile che non è fatto per chi è andato avanti grazie al pollice opponibile. 
Man mano che si scende, la civiltà torna alla sua – quasi – normalità. I gradi si alzano, le macchine con i corridori si fermano davanti a quello che probabilmente sarà il benzinaio più fotografato d’Italia. 

Come spesso succede, in giornate come queste, senti praticamente tutto: la rabbia, lo scazzo, persino verso chi è lì semplicemente per dire che cosa è successo. Preferisco guardare la serafica placidità di Tadej, la risata di Nairo e persino il sorriso di G – che proverbialmente non è mai uno tanto contento. Tutti obbligati sotto questo distributore chiuso mentre l’elicottero sorvola un pezzo anonimo di strada contornato dai meleti. Il concetto di giusto o sbagliato lo lascio a chi sa discernere le situazioni, io – di base – sono una sconsiderata istintiva e non sono certo la più adatta a dare pareri. 
Resta questo lo sport che amo, basta uno sguardo, questione di mezzo secondo.
“Parla il silenzio” mi ha detto un amico stamattina. 

Continua a piovere mentre il telefono trasmette le immagini di Tadej che si spoglia istintivamente per dare la maglia rosa a un ragazzo di vent’anni che, per qualche chilometro, aveva pensato di vincere la tappa più discussa in tre settimane di Giro. Il ciclismo è di un’assurdità plateale, anche per queste scene: ti incazzi perchè sai che poteva lasciargli la vittoria ma poi ti viene da piangere per la pietà di questo corpo sudato che non esita un secondo a togliersi tutto nel bel mezzo del gelo, quasi a chiedere perdono. 
Le cascate ai lati delle rocce non smettono di sgorgare acqua, come il sangue dalle nostre ferite sempre più recenti. 
Mettiti in ginocchio e ti dirò ancora che ti amo. 

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Posted by:Miriam

Sono nata in Brianza in una calda notte di luglio. Scrivo da quando avevo quattordici anni e nel 2012 ho cominciato questo viaggio che si chiama "E mi alzo sui pedali". Ho pubblicato "Voci di Cicala" nel 2013, "La menta e il fiume" nel 2015 e "Come un rock" nel 2019. Mi piacciono i papaveri, il profumo delle foglie di menta e la ninnananna della risacca del lago. A volte scrivo con gli occhi chiusi.

Una risposta a "#GiornidiGiro | Prato allo Stelvio"

  1. … forse è vero, anzi è proprio vero, senza forse, che certi momenti non tornano più, anche se quel ragazzo di vent’anni, che, per qualche chilometro, ha pensato di vincere la tappa più discussa, per qualche momento mi ha fatto pizzicare la pelle come non accadeva dal ’98, con un certo Pirata… e poco importa che quel ragazzo di vent’anni alcuni dei suoi vent’anni li abbia passati nelle stesse scuole delle tue figlie, che ha messo le ruote forse esattamente dove le metti quando rientri da quei maledetti giri o salita o discesa delle mezze montagne Marchigiane … nei giri intorno le mura di quello che era uno splendido e fiero paese, dove le sue sono le nostre ferite, non più recenti, ma sempre vive, Grazie Giulio per questi momenti, voglio credere che ce ne saranno altri, ma mai intensi e belli come questi però…

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