Sono le undici e quarantacinque e vorrei altri dodici vaschette di patatine fritte e almeno un altro panino – non ho fatto colazione e si vede. La gente divora salamella e crauti con la lattina di Moretti in mano in un clima da spiaggia e le foglie che diventano dorate contro il sole basso di fine ottobre.
Il lago è pieno di luccichii, mi sento uncomfortable con il mio corpo e tutta la mia attitudine, è uno di quei giorni in cui vorrei rifarmi la faccia, cambiarmi la voce e diventare un’altra persona.
D’altronde il ciclismo è un mago per queste cose, non ti puoi rilassare mai, anche quando pensi di essere nella tua comfort zone, ecco che ti senti estraneo persino a te stesso.
Dall’altra parte del lago corrono i ciclisti in fila come piccole formiche, sulla terra e nei riflessi dell’acqua, in una specie di vecchio snake del Nokia 3310, milioni di livelli senza sapere mai dove arriva la fine.
Nella vita è in discussione tutto, si salvano solo alcune piccole cose, istanti del tempo che diventano come le scritte delle lapidi dell’antologia di Spoon River: qualunque sconosciuto le legga riesce ad avere una panoramica completa di noi, in pochi istanti. Per cosa ha vissuto, chi ha amato, cosa gli è stato rubato, le battaglie che ha perso.


Il sole sparisce in una coltre sottile di nuvole, i primi due giri sono una corsa al massacro, ognuno ha il suo chaperon a bordo circuito che gli urla che è messo bene – non fa niente se non lo è, la motivazione è tutto – che deve stare davanti. La corsa alle prime posizioni assomiglia a quella per imboccare Arenberg, solo che lo spazio è ridotto ad un cunicolo di trincea. I paletti cadono, le fettucce si spezzano e a terra c’è una devastazione di numeri. Non è che cadono per caso, se li strappano proprio: è il nervoso, le bestemmie, perdere terreno, rilanciare. Tutta una poetica della furia e noi che stiamo a guardare da fuori come sospesi. Paradossalmente quando fai il vuoto, la guerra finisce, resti nel tuo limbo come morto anche se continui ad andare a tutta. I giri diminuiscono, il vantaggio aumenta e tu sei al comando senza far trapelare niente, una maschera bianca di impassibile sforzo, il cervello scollegato dalle gambe perché tanto oramai loro sanno perfettamente cosa devono fare.





Un tipo con la sua bicicletta guarda attento l’inseguimento pressoché impossibile, ha una coperta di lana ripiegata a regola d’arte nel portapacchi, forse non la usa da anni ma non si sa mai, nessuno può sapere quando scenderà il gelo di nuovo. Chi può sapere quando avremo ancora bisogno di sentirci al sicuro?
Non si sa mai.



La luna è piena sopra le campagne milanesi che si sono salvate per miracolo dal cemento della tangenziale e tante piccole candele brillano sull’ofrenda mentre i morti tornano dai loro vivi per ballare, cantare, mangiare e bere Tequila.
La vita è una scheggia di luce che continua nella notte.