La luce del pomeriggio entra attraverso i vetri, disegnando un rettangolo sul pavimento in pietra. Fuori, gli alberi sono ancora per metà infuocati dall’autunno. Dentro, gli alti soffitti delle volte mostrano pietosi gli squarci degli affreschi saccheggiati negli anni dell’abbandono: frammenti di meraviglia che ora sono altrove, forse in un salotto sopra il camino o in un’anticamera nascosta di una villa che viene aperta solo d’estate. 

Una specie di druido dalle folte sopracciglia bianche si affaccenda catartico attorno ad uno strumento che non ho mai visto in vita mia: persino il suono è qualcosa che non sembra appartenere a questa terra: non è un violino, non è un’arpa, produce come una vibrazione trascendente simile a niente altro che abbia già udito da qualche parte. 
“Il salterio è lo strumento degli angeli” spiega lui. “Si può trovare in molte raffigurazioni medievali e rinascimentali e simboleggia la musica divina.”
Quando gli chiedo come sia possibile che questo suono sia così intenso e bellissimo, lui mi guarda in un modo che pare debba scrutarmi dentro, punta il dito verso il mio petto e – come se fosse la voce dell’universo e non la sua a parlare – dice:
“Non è tanto la musica. Ma il modo in cui risuona in te.”

Le parole sembrano uno squarcio diretto in un velo. Qualcosa si apre, non so bene cosa. E se fosse il modo in cui vediamo le cose a renderle così speciali? Se fossimo noi il filtro di tutta la nostra realtà? Questo sarebbe dunque un conforto o piuttosto una desolazione?
Di questa stagione ricordo solo i momenti in cui la luce è stata abbagliante  – diretta come un delizioso mattino d’inverno. Il sale sulle labbra a Sanremo, parole che scorrono a fiumi, che volevamo dire da secoli, il sole rosso d’ottobre che sazia e che disseta come l’acqua in un immenso deserto. Momenti in cui gli angeli hanno suonato per noi il loro strumento divino dal riverbero argenteo.
Che cos’è il resto se non una breve manciata di attimi che ricorderemo appena? Il ciclismo lo sa quanto il buio possa essere impenetrabile e la luce salvifica, quanto pochi minuti possano valere anni. Cos’è il tempo quando aspetti? Quando preghi? Quando dai tutto? Quando lotti? Quando speri?

No, mio caro vecchio druido. Non sono d’accordo. La questione è proprio la musica. Non risuonerebbe così se non fosse scritta per noi. Certe note arrivano intense dritte fino a dove scorre il sangue, riverberano unicamente perchè lo ha scelto il destino, da qui all’eternità.
Le vecchie pietre del monastero restano di nuovo in silenzio mentre il musico riprende la sua celeste missione. 
Il paradiso è vicino, direbbe Jack.
Il paradiso è vicino.
Torna per restare. 

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Posted by:Miriam

Sono nata in Brianza in una calda notte di luglio. Scrivo da quando avevo quattordici anni e nel 2012 ho cominciato questo viaggio che si chiama "E mi alzo sui pedali". Ho pubblicato "Voci di Cicala" nel 2013, "La menta e il fiume" nel 2015 e "Come un rock" nel 2019. Mi piacciono i papaveri, il profumo delle foglie di menta e la ninnananna della risacca del lago. A volte scrivo con gli occhi chiusi.

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