Le strisce di neve luccicano nel sole di una di quelle giornate ideali per fermarsi in cima ai passi di montagna e sentire l’agrodolce sensazione di straniamento che ti provoca sempre il fuori stagione. Non è inverno, non è estate. È semplicemente un luogo di mezzo, una bolla in cui vagano le certezze senza poter essere colte mai. Questo fatto di sentirci sempre sospesi a volte sembra una condizione quasi permanente. Aspetti un verdetto – si ma quale? – aspetti un grande finale, qualcosa che ti faccia unire i punti del viaggio, sapere che il destino – in ogni singolo momento – pensava a te.
Ma ancora siamo qui, in questi maggio complicati che, come le rampe più dure, ci fanno volare o ci fanno desistere.

Se chiudo gli occhi e penso al Mortirolo, non è questo che mi viene in mente. Il versante di Pantani è un altro, nervoso, scattante. Diverso. Questo è in un certo senso più intimo, la strada prima si impenna poi si scioglie in falsopiani tra i pini che sembrano infiniti. C’è tempo per soffrire, c’è tempo per pensare. La gente si affolla attorno alle ultime tre rampe verso il rifugio che, da sotto, sembra un santuario per i monaci ma, per una volta, l’essenza della salita è altrove. Appena dopo, quando gli umani si fanno più rari, dove i pini possono avere la loro aria fresca di temporale ogni volta che la desiderano. La pianura dopo lo sforzo ti lascia più svuotato della fatica stessa, come se rallentare i battiti non fosse esattamente una buona idea.

Comincia a scendere qualche goccia di pioggia e mentre scendo per i tornanti, a Bormio la prestazione della maglia rosa mi fa pensare a cose che non mi sono mai passate per la testa prima d’ora. Sul ciclismo, sullo sport, su chi ha spento la tv – e il cuore – dopo quel Giro del ’99. Di sicuro sono tutte strane idee mie.


Nel cielo al tramonto vagano nuvole come bisonti nelle pianure americane. Una di loro è il cavallo di Tashunka Uitko con il suo sassolino dietro l’orecchio per restare intatti durante le battaglie. Ancora gli spiriti delle cose indecise fluttuano senza sosta cercando riposo, costanti presenze delle sere in cui non sappiamo esattamente dove stiamo andando – e se stiamo ancora combattendo per qualcosa che ci appartiene davvero o no.