Imburro la fetta di pane che ho quasi carbonizzato. Fuori c’è il suono ininterrotto dell’acqua del mulino, dentro due pastori australiani, uno tranquillo come la campagna di notte, l’altro inquieto come una tempesta. Yin e yang delle nostre anime continuamente divise tra la sete di pace e la ricerca di un momento che valga la vita intera.
L’assenza di speranza non è forse la speranza stessa?
Adesso vedo la gente che la domenica va a vedere la tappa e penso di nuovo a questa cosa. A cosa deve essere il ciclismo quando tocca la quotidianità solo una volta tanto, come una giornata al Lunapark, piuttosto che essere – come per noi – una costante bussola per viaggiatori perduti.
Se sia una medicina o un veleno, non lo scopriremo mai.
All’arrivo, la gente guarda sugli schermi la lenta disfatta dei battuti. La strada è una linea bianca circondata dal verde intenso dei prati che hanno conosciuto il sangue – e di sicuro non se lo dimenticano. Essere forti è un conto, non avere più testa è un altro. Per quanto puoi essere competitivo, ci sono schiaffi che ti lasciano come svuotato. Così è stato una volta per Gilles Villeneuve dopo il tradimento di Pironi, così succede quando qualcosa trapassa la corazza e ci scalfisce così in profondità da non sapere come guarirlo. E gli altri che giudicano la sconfitta non possono sapere niente di cosa ci passa per la testa in quel momento. Guardiamo il vuoto, lasciamo che ci siano tutte le schiene davanti a noi. Soli. Nell’attacco o nella resa.


A Monte Carlo un tipo che arriva con la ruota demolita mi fa ripensare alla Ferrari con il numero 27 e che forse non dobbiamo accettare la sconfitta mai. Persino Egan Bernal oggi avrà pensato solo al sé stesso che aveva perduto e che sta ritrovando dopo lo scontro frontale di due anni fa.
Forse la speranza è la sola nostra benzina.
“.. forse la speranza è la nostra sola benzina…”
SENZA FORSE !!!!