Ho sempre pensato che il blocco dello scrittore fosse un falso mito.
In tutta la mia vita ho avuto questa specie di fiume in piena pressochè impossibile da arginare. Mai un giorno di siccità, mai una volta che non avessi avuto questo bisogno ossessivo di scrivere qualcosa, da qualche parte. La pigrizia, quella sì è una cosa reale. Il gesto può essere faticoso – prendere una penna, mettersi davanti ad uno schermo – la società ci prosciuga di tutte le energie e ci fa pensare di non avere più niente da dire se non quello che dobbiamo sfornare dalle sette alle cinque per guadagnarci il pane.
Adesso se guardo indietro, una sorta di profonda stanchezza – o torpore – mi costringe a vedere solo gli istanti più intensi, pochi semplici baluginii nella nebbia di una bolla senza nome. Penso a un film uscito qualche tempo fa – così iper criticato da piacermi incondizionatamente – e alla scena finale con la faccia perfetta di Kim Rossi Stuart che fissa un giovane poliziotto con gli occhi di ghiaccio.
“Hai fatto tredici”
Adesso è così che guardo il ciclismo, in fondo mi hai trovato, sono all’angolo. Dove potrei scappare? Probabilmente neanche voglio farlo. Sono di nuovo su quell’automobile, cerco di ricordarmi chi ha detto cosa ma alcune situazioni sono impossibili da rievocare per filo e per segno. Se si potessero rivivere, faremo più attenzione, non le consegneremo di certo a quell’oblio invisibile che promette di coprire tutto, come la neve. Restano le sagome: possibile che ancora continuiamo ad amarle?
Tredici anni sono quelli di un’adolescente che vuole svoltare la sua vita, tredici come la schedina che giocava mio nonno, tredici come un po’ troppo tempo per ritrovare sé stessi. E montagne, pianti, strade chiuse, tramonti sull’autostrada, luoghi senza coordinate, inversioni a U, arance sui sedili, ammiraglie a cento allora, messaggi senza risposte, santi, miracoli ignorati, sguardi senza parole, intossicazioni, mezzi infarti, temporali, dubbi, spiriti e fantasmi. Chiudo gli occhi e l’uragano è ancora dentro di me, voglio riposare, voglio stare tranquilla come se tutto fosse finito.
Ma non è finito ancora.
La verità è che Renato Vallanzasca poteva sparare, ammazzare qualcuno, scappare dal posto di blocco. Era armato, aveva una scelta. Ma forse quel giorno sapeva che la sua via di fuga era arrendersi.
Tredici.
Basta fuggire.
Adesso è il momento di farsi trovare.